La Liturgia della Messa
Liturgia
STRUTTURA, ELEMENTI
E PARTI DELLA MESSA
I. STRUTTURA GENERALE DELLA MESSA
27. Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico37. Per questo raduno locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: «Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce38, Cristo è realmente presente nell'assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche39.
28. La Messa è costituita da due parti, la «Liturgia della Parola» e la «Liturgia eucaristica»; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto40. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro41. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.
II. I DIVERSI ELEMENTI DELLA MESSA
Lettura della parola di Dio e sua spiegazione
29. Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo.
Per questo tutti devono ascoltare con venerazione le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della Liturgia. E benché la parola di Dio nelle letture della sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia una sua più piena comprensione ed efficacia viene favorita da un'esposizione viva e attuale, cioè dall'omelia, che è parte dell'azione liturgica42.
Le orazioni e le altre parti che spettano al sacerdote
30. Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la Preghiera eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l'orazione di inizio (o colletta), l'orazione sulle offerte e l'orazione dopo la Comunione. Queste preghiere, dette dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell'assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell'intero popolo santo e di tutti i presenti43. Perciò giustamente si chiamano «orazioni presidenziali».
31. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell'assemblea radunata, formulare alcune monizioni previste nel rito medesimo. Quando è previsto dalle rubriche, al celebrante è permesso adattarle in parte affinché rispondano alla comprensione dei partecipanti. Tuttavia il sacerdote faccia in modo di conservare sempre il senso della monizione proposta nel Messale e la esprima con poche parole. Così pure spetta al sacerdote che presiede guidare la proclamazione della parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole, per introdurre i fedeli alla Messa del giorno, dopo il saluto iniziale e prima dell' atto penitenziale; alla Liturgia della Parola, prima delle letture; alla Preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio, naturalmente mai nel corso della Preghiera stessa; prima del congedo, per concludere l'intera azione sacra.
32. La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione44. Perciò, mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l'organo e altri strumenti musicali devono tacere.
33. Il sacerdote infatti, in quanto presidente, formula le preghiere a nome della Chiesa e della comunità riunita, talvolta invece anche a titolo personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere, che sono proposte prima della proclamazione del Vangelo, alla preparazione dei doni, prima e dopo la Comunione del sacerdote, si dicono sottovoce.
Altre formule che ricorrono nella celebrazione
34. Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario»45, grande rilievo assumono i dialoghi tra il sacerdote e i fedeli riuniti e le acclamazioni46. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo.
35. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa, per esprimere e ravvivare l'azione di tutta la comunità47.
36. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all'intera assemblea convocata; sono soprattutto l'atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli) e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro).
37. Infine, tra le altre formule:
a) alcune costituiscono un rito o un atto a sé stante, come l'inno Gloria, il salmo responsoriale, l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo (canto al Vangelo), il Santo, l'acclamazione dell'anamnesi e il canto dopo la Comunione;
b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti d'ingresso, di offertorio, quelli che accompagnano la frazione del pane (Agnello di Dio) e la Comunione.
Il modo di proclamare i vari testi
38. Nei testi che devono essere pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un'orazione, di una monizione, di un'acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo.
Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole «dire» oppure «proclamare» devono essere intese in riferimento sia al canto che alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.
Importanza del canto
39. I fedeli, che si radunano nell'attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall'apostolo a cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (Cf. Col 3,16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (Cf. At 2,46). Perciò dice molto bene sant' Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama»48, e già dall'antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte».
40. Nella celebrazione della Messa si dia quindi grande importanza al canto, ponendo attenzione alla diversità culturale delle popolazioni e alle possibilità di ciascuna assemblea liturgica. Anche se non è sempre necessario, per esempio nelle Messe feriali, cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto, si deve comunque fare in modo che non manchi il canto dei ministri e del popolo nelle celebrazioni domenicali e nelle feste di precetto.
Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono o dal lettore con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme49.
41. A parità di condizioni, si dia la preferenza al canto gregoriano, in quanto proprio della Liturgia romana. Gli altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, non sono affatto da escludere, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica e favoriscano la partecipazione di tutti i fedeli50.
Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti dell'ordinario della Messa, specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore51.
Gesti e atteggiamenti del corpo
42. I gesti e l'atteggiamento del corpo sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti52. Si dovrà prestare attenzione affinché le norme, stabilite da questo Ordinamento generale e dalla prassi secolare del Rito romano, contribuiscano al bene spirituale comune del popolo di Dio, più che al gusto personale o all'arbitrio.
L'atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell'unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra Liturgia: manifesta infatti e favorisce l'intenzione e i sentimenti dell'animo di coloro che partecipano.
43. I fedeli stiano in piedi dall'inizio del canto di ingresso, o mentre il sacerdote si reca all'altare, fino alla conclusione dell'orazione di inizio (o colletta), durante il canto dell' Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la professione di fede e la preghiera universale (o preghiera dei fedeli); e ancora dall' invito Pregate fratelli prima dell' orazione sulle offerte fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.
Stiano invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo responsoriale; all'omelia e durante la preparazione dei doni all'offertorio; se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la Comunione.
S'inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione.
Spetta però alle Conferenze Episcopali adattare i gesti e gli atteggiamenti del corpo, descritti nel Rito della Messa, alla cultura e alle ragionevoli tradizioni dei vari popoli secondo le norme del diritto53. Nondimeno si faccia in modo che tali adattamenti corrispondano al senso e al carattere di ciascuna parte della celebrazione. Dove vi è la consuetudine che il popolo rimanga in ginocchio dall' acclamazione del Santo fino alla conclusione della Preghiera eucaristica e prima della Comunione, quando il sacerdote dice Ecco l'Agnello di Dio, tale uso può essere lodevolmente conservato.
Per ottenere l'uniformità nei gesti e negli atteggiamenti del corpo in una stessa celebrazione, i fedeli seguano le indicazioni che il diacono o un altro ministro laico o lo stesso sacerdote danno secondo le norme stabilite nel Messale.
44. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e le processioni: quella del sacerdote che, insieme al diacono e ai ministri, si reca all'altare; quella del diacono che porta all'ambone l'Evangeliario o il Libro dei Vangeli prima della proclamazione del Vangelo; quella con la quale i fedeli presentano i doni o si recano a ricevere la Comunione. Conviene che tali azioni e processioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per ognuna di esse.
Il silenzio
45. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione54. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l'atto penitenziale e dopo l'invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l'omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica.
Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia, nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione.
III - LE SINGOLE PARTI DELLA MESSA
A) RITI DI INTRODUZIONE
46. I riti che precedono la Liturgia della Parola, cioè l'introito, il saluto, l'atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l'orazione (o colletta), hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione.
Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l'Eucaristia.
In alcune celebrazioni, connesse con la Messa secondo le norme dei libri liturgici, si omettono i riti iniziali o si svolgono in maniera particolare.
L'introito
47. Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto d'ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l'unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.
48. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l'antifona con il suo salmo, quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto all'azione sacra, al carattere del giorno o del tempo55, e il cui testo sia stato approvato dalla Conferenza Episcopale.
Se all'introito non ha luogo il canto, l'antifona proposta dal Messale Romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla a modo di monizione iniziale (Cf. n. 31).
Saluto all'altare e al popolo radunato
49. Giunti in presbiterio, il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l'altare con un profondo inchino.
Quindi, in segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote, secondo l'opportunità, incensa la croce e l'altare.
50. Terminato il canto d'ingresso, il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l'assemblea si segna col segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità radunata la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata.
Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno.
Atto penitenziale
51. Quindi il sacerdote invita all'atto penitenziale, che, dopo una breve pausa di silenzio, viene compiuto da tutta la comunità mediante una formula di confessione generale, e si conclude con l'assoluzione del sacerdote, che tuttavia non ha lo stesso valore del sacramento della Penitenza.
La domenica, specialmente nel tempo pasquale, in circostanze particolari, si può sostituire il consueto atto penitenziale, con la benedizione e l'aspersione dell' acqua in memoria del Battesimo56.
Kyrie eleison
52. Dopo l'atto penitenziale ha sempre luogo il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto durante l'atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un cantore.
Ogni acclamazione viene ripetuta normalmente due volte, senza escluderne tuttavia un numero maggiore, in considerazione dell'indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di circostanze particolari. Quando il Kyrie eleison viene cantato come parte dell' atto penitenziale, alle singole acclamazioni si fa precedere un «tropo».
Gloria
53. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l'Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l'opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola, oppure dalla stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano.
Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità.
Colletta
54. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. Quindi il sacerdote dice l'orazione, chiamata comunemente «colletta», per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione. Per antica tradizione della Chiesa, l'orazione colletta è abitualmente rivolta a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo57 e termina con la conclusione trinitaria, cioè più lunga, in questo modo:
- se è rivolta al Padre: Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli
- se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell' orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli è Dio e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli
- se è rivolta al Figlio: Tu sei Dio e vivi e regni con Dio Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli
Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l'orazione con l'acclamazione Amen
Nella Messa si dice sempre una sola colletta.
B) LITURGIA DELLA PAROLA
55. Le letture scelte dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano costituiscono la parte principale della Liturgia della Parola; l'omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell' omelia, Dio parla al suo popolo58, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua Parola, tra i fedeli 59. Il popolo fa propria questa Parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell' orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.
Il silenzio
56. La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all'assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l'aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l'omelia60.
Le letture bibliche
57. Nelle letture viene preparata ai fedeli la mensa della parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia61. Conviene quindi che si osservi l'ordine delle letture bibliche, con il quale è messa meglio in luce l'unità dei due Testamenti e della storia della salvezza; non è permesso quindi sostituire con altri testi non biblici le letture e il salmo responsoriale, che contengono la parola di Dio62.
58. Nella celebrazione della Messa con il popolo, le letture si proclamano sempre dall' ambone.
59. Il compito di proclamare le letture, secondo la tradizione, non è competenza specifica di colui che presiede, ma di altri ministri. Le letture quindi siano proclamate da un lettore, il Vangelo sia invece proclamato dal diacono o, in sua assenza, da un altro sacerdote. Se non è presente un diacono o un altro sacerdote, lo stesso sacerdote celebrante legga il Vangelo; e se manca un lettore idoneo, il sacerdote celebrante proclami anche le altre letture.
Dopo le singole letture il lettore pronuncia l'acclamazione, e il popolo riunito con la sua risposta dà onore alla parola di Dio, accolta con fede e con animo grato.
60. La lettura del Vangelo costituisce il culmine della Liturgia della Parola. La stessa Liturgia insegna che si deve dare ad essa massima venerazione, poiché la distingue dalle altre letture con particolare onore: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla, che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono all'Evangeliario.
Il Salmo responsoriale
61. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, che è parte integrante della Liturgia della Parola e che ha grande valore liturgico e pastorale, perché favorisce la meditazione della parola di Dio.
Il salmo responsoriale deve corrispondere a ciascuna lettura e deve essere preso normalmente dal Lezionario.
Conviene che il salmo responsoriale si esegua con il canto, almeno per quanto riguarda la risposta del popolo. Il salmista, quindi, o cantore del salmo canta o recita i versetti del salmo all'ambone o in altro luogo adatto; tutta l'assemblea ascolta restando seduta, e partecipa di solito con il ritornello, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Ma perché il popolo possa più facilmente ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di ritornelli e di salmi per i diversi tempi dell'anno e per le diverse categorie di Santi. Questi testi si possono utilizzare al posto di quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene cantato. Se il salmo non può essere cantato, venga proclamato nel modo più adatto a favorire la meditazione della parola di Dio.
Al posto del salmo assegnato nel Lezionario si può cantare o.il responsorio graduale tratto dal Graduale romanum, oppure un salmo responsoriale o alleluiatico dal Graduale simplex, così come sono indicati nei rispettivi libri.
L'acclamazione prima della lettura del Vangelo
62. Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l' Alleluia o un altro canto stabilito dalle rubriche, come richiede il tempo liturgico. Tale acclamazione costituisce un rito o atto a sé stante, con il quale l'assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e con il canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi, sotto la guida della schola o del cantore, e se il caso lo richiede, si ripete; il versetto invece viene cantato dalla schola o dal cantore.
a) L'Alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne in Quaresima. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dal Graduale.
b) In tempo di Quaresima, al posto dell'Alleluia si canta il versetto posto nel Lezionario prima del Vangelo. Si può anche cantare un altro salmo o tratto, come si trova nel Graduale.
63. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel tempo in cui si canta l'Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e l'Alleluia con il suo versetto,
b) nel tempo in cui non si canta l'Alleluia, si può eseguire o il salmo e il versetto prima del Vangelo o il salmo soltanto.
c) l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.
64. La Sequenza, che, tranne nei giorni di Pasqua e Pentecoste, è facoltativa, si canta prima dell'Alleluia.
L'omelia
65. L'omelia fa parte della liturgia ed è vivamente raccomandata63: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della sacra Scrittura, o di un altro testo dell' Ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta64.
66. L'omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante. Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote concelebrante e, secondo l'opportunità, anche al diacono; mai però a un laico65. In casi particolari e per un giusto motivo l'omelia può essere tenuta anche dal Vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare.
Nelle domeniche e nelle feste di precetto l'omelia si deve tenere e non può essere omessa se non per un grave motivo in tutte le Messe con partecipazione di popolo. Negli altri giorni è raccomandata, specialmente nelle ferie di Avvento, di Quaresima e del tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa66.
È opportuno, dopo l'omelia, osservare un breve momento di silenzio.
La professione di fede
67. Il simbolo, o professione di fede, ha come fine che tutto il popolo riunito risponda alla parola di Dio, proclamata nella lettura della sacra Scrittura e spiegata nell'omelia; e perché, recitando la regola della fede, con una formula approvata per l'uso liturgico, torni a meditare e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nell' Eucaristia.
68. Il simbolo deve essere cantato o recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche e nelle solennità; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni.
Se si proclama in canto, viene intonato dal sacerdote o, secondo l'opportunità, dal cantore o dalla schola; ma viene cantato da tutti insieme o dal popolo alternativamente con la schola.
Se non si canta, viene recitato da tutti insieme o a cori alterni.
La preghiera universale
69. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo risponde in certo modo alla parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti. È conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che portano il peso di varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo67.
70. La successione delle intenzioni sia ordinariamente questa:
a) per le necessità della Chiesa;
b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo;
c) per quelli che si trovano in difficoltà;
d) per la comunità locale.
Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella Confermazione, nel Matrimonio, nelle Esequie, la successione delle intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza particolare.
71. Spetta al sacerdote celebrante guidare dalla sede la preghiera. Egli la introduce con una breve monizione, per invitare i fedeli a pregare, e la conclude con un' orazione. Le intenzioni che vengono proposte siano sobrie, formulate con una sapiente libertà e con poche parole, ed esprimano le intenzioni di tutta la comunità. Le intenzioni si leggono dall' ambone o da altro luogo conveniente, da parte del diacono o del cantore o del lettore o da un fedele laico68.
Il popolo invece, stando in piedi, esprime la sua supplica con una invocazione comune dopo la formulazione di ogni singola intenzione, oppure pregando in silenzio.
C) LITURGIA EUCARISTICA
72. Nell'ultima Cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso continuamente presente nella Chiesa il sacrificio della croce, allorché il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero in memoria di lui69.
Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate, bevete; questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo in memoria di me». Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della Liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:
1) Nella preparazione dei doni, vengono portati all'altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
2) Nella Preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l'opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
3) Mediante la frazione del pane e per mezzo della Comunione i fedeli, benché molti, si cibano del Corpo del Signore dall'unico pane e ricevono il suo Sangue dall'unico calice, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.
La preparazione dei doni
73. All'inizio della Liturgia eucaristica si portano all'altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo.
Prima di tutto si prepara l'altare, o mensa del Signore, che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica70, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, il Messale e il calice, se non viene preparato alla credenza.
Poi si portano le offerte: è bene che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote, o il diacono, li riceve in luogo opportuno e adatto e li depone sull' altare. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla Liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale.
Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.
74. Il canto all'offertorio (Cf. n. 37, b) accompagna la processione con la quale si portano i doni; esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull'altare. Le norme che regolano questo canto sono le stesse previste per il canto d'ingresso (Cf. n. 48).
È sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali, anche se non si svolge la processione con i doni.
75. Il sacerdote depone il pane e il vino sull'altare pronunciando le formule prescritte; egli può incensare i doni posti sull'altare, quindi la croce e lo stesso altare, per significare che l'offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l'incensazione dei doni e dell'altare, anche il sacerdote, in ragione del sacro ministero, e il popolo, per la sua dignità battesimale, possono ricevere l'incensazione dal diacono o da un altro ministro.
76. Quindi il sacerdote si lava le mani a lato dell'altare; con questo rito si esprime il desiderio di purificazione interiore.
L'orazione sulle offerte
77. Deposte le offerte sull'altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera e pronunzia l'orazione sulle offerte: si conclude così la preparazione dei doni e ci si prepara alla Preghiera eucaristica.
Nella Messa si dice un'unica orazione sulle offerte, che si conclude con la formula breve: Per Cristo nostro Signore; se invece essa termina con la menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l'orazione con l'acclamazione Amen.
La Preghiera eucaristica
78. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell'intera celebrazione, la Preghiera eucaristica, ossia la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell'azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa Preghiera è che tutta l'assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell' offrire il sacrificio. La Preghiera eucaristica esige che tutti l'ascoltino con riverenza e silenzio.
79. Gli elementi principali di cui consta la Preghiera eucaristica si possono distinguere come segue:
a) L'azione di grazie (che si esprime particolarmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l'opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del Tempo.
b) L'acclamazione: tutta l'assemblea, unendosi alle creature celesti, canta il Santo. Questa acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è proclamata da tutto il popolo col sacerdote.
c) L'epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
d) Il racconto dell'istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell'ultima Cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede a mangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
e) L'anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli Apostoli, celebra il memoriale di Cristo, commemorando specialmente la sua beata passione, la gloriosa risurrezione e l'ascensione al cielo.
f) L'offerta: nel corso di questo stesso memoriale la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo la vittima immacolata. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma imparino anche ad offrire se stessi71 e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti72.
g) Le intercessioni: con esse si esprime che l'Eucaristia viene celebrata in Comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrena, e che l'offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza ottenuta per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.
h) La dossologia finale: con essa si esprime la glorificazione di Dio; viene ratificata e conclusa con l'acclamazione del popolo: Amen.
Riti di Comunione
80. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale. A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla Comunione.
Preghiera del Signore
81. Nella Preghiera del Signore si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono un particolare riferimento al pane eucaristico, e si implora la purificazione dai peccati, così che realmente i santi doni vengano dati ai santi. Il sacerdote rivolge l'invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l'embolismo, che il popolo conclude con la dossologia. L'embolismo, sviluppando l'ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male. L'invito, la preghiera del Signore, l'embolismo e la dossologia, con la quale il popolo conclude l'embolismo, si cantano o si dicono ad alta voce.
Rito della pace
82. Segue il rito della pace, con il quale la Chiesa implora la pace e l'unità per se stessa e per l'intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la Comunione ecclesiale e l'amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento.
Spetta alle Conferenze Episcopali stabilire il modo di compiere questo gesto di pace secondo l'indole e le usanze dei popoli. Conviene tuttavia che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio.
Frazione del pane
83. Il sacerdote spezza il pane eucaristico, con l'aiuto, se è necessario, del diacono o di un concelebrante. Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell'ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l'azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione dall'unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10,17). La frazione del pane ha inizio dopo lo scambio di pace e deve essere compiuta con il necessario rispetto, senza però che si protragga oltre il tempo dovuto e le si attribuisca esagerata importanza. Questo rito è riservato al sacerdote e al diacono.
Il sacerdote spezza il pane e mette una parte dell' ostia nel calice, per significare l'unità del Corpo e del Sangue di Cristo nell'opera della salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù vivente e glorioso. Abitualmente l'invocazione Agnello di Dio viene cantata dalla schola o dal cantore, con la risposta del popolo, oppure la si dice almeno ad alta voce. L'invocazione accompagna la frazione del pane, perciò la si può ripetere tanto quanto è necessario fino alla conclusione del rito. L'ultima invocazione termina con le parole dona a noi la pace
Comunione
84. Il sacerdote si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio. Quindi il sacerdote mostra ai fedeli il pane eucaristico sulla patena o sul calice e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con loro esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle prescritte parole evangeliche.
85. Si desidera vivamente che i fedeli, come anche il sacerdote è tenuto a fare, ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa e, nei casi previsti, facciano la Comunione al calice (Cf. n. 284), perché, anche per mezzo dei segni, la Comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto73.
86. Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante l'accordo delle voci, l'unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere «comunitario» della processione di coloro che si accostano a ricevere l'Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli74. Se però è previsto che dopo la Comunione si esegua un inno, il canto di Comunione s'interrompa al momento opportuno.
Si faccia in modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente la Comunione.
87. Per il canto alla Comunione si può utilizzare o l'antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o l'antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo.
Se invece non si canta, l'antifona alla Comunione proposta dal Messale può essere recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la Comunione ai fedeli.
88. Terminata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità, pregano per un po' di tempo in silenzio. Tutta l'assemblea può anche cantare un salmo, un altro cantico di lode o un inno.
89. Per completare la preghiera del popolo di Dio e anche per concludere tutto il rito di Comunione, il sacerdote recita l'orazione dopo la Comunione, nella quale invoca i frutti del mistero celebrato.
Nella Messa si dice una sola orazione dopo la Comunione, che termina con la conclusione breve, cioè:
- se è rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;
- se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell'orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli vive e regna nei secoli dei secoli;
se è rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Il popolo fa sua l'orazione con l'acclamazione Amen.
D) RITI DI CONCLUSIONE
90. I riti di conclusione comprendono:
a) brevi avvisi, se necessari;
b) il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l'orazione sul popolo o con un'altra formula più solenne;
c) il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio;
d) il bacio dell'altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l'inchino profondo all'altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri.
31 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 5; Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.
38 CONC. ECUM. TRIDENTINO, Sess. XXII, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. l, Denz. Schönm. 1740; cf. PAOLO VI, Solenne professione di fede, 3 giugno 1968, n. 24: AAS 60 (1968) 442.
39 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 7; PAOLO VI, Lett. enc. Mysterium fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) 764; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 9: AAS 59 (1967) 547.
40 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 56; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: AAS 59 (1967) 542.
41 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 48, 51; Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, Dei verbum, n. 21; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 4.
42 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 33, 52.
43 Cf. ibidem, 33.
44 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 14: AAS 59 (1967) 304.
45 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 26-27; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: AAS 59 (1967) 542.
46 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30.
47 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 16 a: AAS 59 (1967) 305.
48 S. AGOSTINO DI IPPONA, Sermo 336,1: PL 38, 1472.
49 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, nn. 7, 16: AAS 59 (1967) 302, 305.
50 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 116; cf. anche il n. 30.
51 Cf. ibidem, n. 54; Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione lnter oecumenici, 26 settembre 1964, n. 59: AAS 56 (1964) 891; cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 47: AAS 59 (1967) 314.
52 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30, 34; cf. anche il n. 21.
53 Cf. ibidem, n. 40; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Varietates legitimae, 25 gennaio 1994, n. 41: AAS 87 (1995) 304.
54 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 30; cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 17: AAS 59 (1967) 305.
55 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Dies Domini, 31 maggio 1998, n. 50: AAS 90 (1998) 745.
56 Cf. MESSALE ROMANO, Appendice II.
57 Cf. TERTULLIANO, Adversus Marcionem, IV, 9: CCSL 1,560; ORIGENE, Disputatio cum Heracleida, n. 4, 24: SCh 67, 62; Statuta Concilii Hipponensi Breviata, 21: CCSL 149, 39.
58 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.
59 Cf. ibidem, n. 7.
60 MESSALE ROMANO, Lezionario, seconda edizione tipica, Introduzione, n. 28.
61 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. n. 51.
62 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Vìcesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 13: AAS 81 (1988) 910.
63 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 52; CIC, can. 767, § 1.
64 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Inter oecumenici, 26 settembre 1964, n. 54: AAS 56 (1964) 890.
65 Cf. CIC, can. 767, § 1; PONTIFICIA COMMISSIONE PER L'INTERPRETAZIONE AUTENTICA DEL CIC, risposta al dubbio circa il can. 767, § 1: AAS 79 (1987) 1249; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti, Ecclesiae de mysterio, 15 agosto 1997, art. 3: AAS 89 (1997) 864.
66 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Inter oecumenici, 26 settembre 1964, n. 53: AAS 56 (1964) 890.
67 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 53.
68 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Inter oecumenici, 26 settembre 1964, n. 56: AAS 56 (1964) 890.
69 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 47; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3a, b: AAS 59 (1967) 540-541.
70 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Inter oecumenici, 26 settembre 1964, n. 91: AAS 56 (1964) 898; Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: AAS 59 (1967) 554.
71 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 48; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: AAS 59 (1967) 548-549.
72 Cf. CONC. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n, 48; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale, Presbyterorum Ordinis, n. 5; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: AAS 59 (1967) 548-549.
73 Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, nn. 31, 32: AAS 59 (1967) 558-559; SACRA CONGREGAZIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Immensae caritatis, 29 gennaio 1973, n. 2: AAS 65 (1973) 267-268.
74 Cf. SACRA CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Istruzione Inestimabile donum, 3 aprile 1980, n. 17: AAS 72 (1980) 338.
LA LITURGIA NELLA SANTA MESSA
La Messa é la più importante funzione sacra della chiesa cristiana, cattolica ed ortodossa, celebrata dal sacerdote sull'altare e che rappresenta il memoriale del sacrificio della croce attraverso l'offerta del Corpo e Sangue di Cristo sotto le specie eucaristiche. Il termine "messa" deriva da "missa" equivalente a "missio", cioé congedo ed entrò in vigore dal IV secolo, quando il rito comportò il congedo dei catecumeni prima dell'Offertorio. S. Agostino esplicitò con chiarezza questo congedo rituale:
"Ecce post sermonem fit missa catechumenis, manebunt fideles" (Ecco, dopo il sermone, si faccia il congedo dei catecumeni, restino i fedeli).
INTRODUZIONE
§ Secondo il RITO, la messa si distingue in: - Messa in rito latino o romano - Messa in rito greco - Messa in rito armeno - Messa in rito ambrosiano.
§ Secondo la SOLENNITÀ: - messa letta o bassa o privata, cioè semplicemente recitata dal celebrante in ogni sua parte e senza canto- messa solenne o cantata in cui il celebrante é assistito dal diacono e/o altri accoliti
§ messa concelebrata, o concelebrazione, entrata in uso nella seconda metà del secolo attuale, cui partecipano contemporaneamente vari presbiteri in qualità di concelebranti
§ messa pontificale, anticamente detta "messa in pontificale", celebrata solennemente da un vescovo o da un prelato con l'assistenza di numerosi ministri e sempre cantata da un'apposita corale diretta da un maestro di cappella
§ messa papale, celebrata dal papa con cerimoniale molto solenne ricco di un vastissimo rituale che, con la riforma liturgica del Vaticano II, si é molto ridotto, per dare, invece, spazio alla centralità religiosa espressa sia dall'omelia papale rivolta al mondo con l'aiuto dei media, sia all'incidenza ecumenica con la presenza di celebranti e fedeli di tutto il mondo ai quali viene concessa l'espressività cultuale dei riti originari con canti, musiche, gestualità
§ messa vespertina, celebrata la sera precedente la festa, entrata in vigore con la costituzione apostolica del 6 gennaio 1953
§ messa funebre o di requiem, celebrata in suffragio di defunti.
La messa é l'unico e supremo rito sacrificale del cristianesimo cattolico e fin dai primi secoli é il centro della vita liturgica e mistica della Chiesa.
LE ORIGINI
Le sue origini si rifanno all'"agape " cristiana, convito fraterno presso i primi cristiani; comunità d'amore fraterno in S. Ignazio d'Antiochia; commemorazione della Cena del Signore, ma nel II secolo con significato esclusivamente escatologico.
La valenza teologica della messa si instaurò quando la cena comune venne separata dall'Eucarestia e, sull'esempio lasciato da Cristo nell'ultima Cena, i riti fondamentali furono tre:
§ offerta del pane e, separatamente, del vino
§ consacrazione preceduta da preghiera di ringraziamento; quest'ultima basata su formulari giudaici usati dopo i pasti, presto sostituita da una di carattere cristologico, secondo quanto rilevato dalla Didaché
§ comunione prima del pane eucaristico... seguita a distanza da quella del vino.
Durante la consacrazione si recitava il racconto dell'istituzione Eucaristica.
Nel culto dei primi cristiani sono già presenti la predicazione, la lettura, preghiere ed inni a scopo didattico.
Nella sua "Apologia" per i cristiani all'imperatore Antonino Pio e nel "Dialogo con Trifone", San Giustino, nell'anno 150, dà la prima descrizione della Messa romana, distinta in due parti: quella "didattica", fatta di letture sacre degli Apostoli e dei Profeti, e quella "sacrificale", centrata sulla Passione e già comprensiva dell'epiclesi, cioé l'invocazione del Logos sugli elementi da consacrargli.
La lingua usata era il greco; l'uso della lingua latina subentrò verso il IV secolo; anteriormente a questo secolo, vigeva qua e là l'uso delle letture in greco, successivamente tradotte in latino; una messa bi-lingue, insomma.
Il "Canone latino definitivo" fu elaborato a Roma, anche se a darcene testimonianza é il vescovo di Milano sant'Ambrogio nel suo libro "De Sacramentis".
Tra il II e IV secolo la celebrazione fraterna della messa si diffonde molto, secondo la testimonianza di Tertulliano che la definisce "dilectio". Nei secoli V e VI la liturgia romana della messa cominciò a diffondersi anche oltre l'Italia: in Spagna il vescovo Profuturo nel 538 volle il Canone romano; nel 563 il Sinodo di Praga ordinò l'assimilazione della liturgia spagnola a quella romana; lo stesso avvenne in Inghilterra, dopo la missione di Agostino voluta da Gregorio I.
Nelle Gallie la riforma instaurata da Pipino e proseguita da Carlomagno con l'intento di sostituire la messa gallicana con quella romana influì, nel decorso degli anni, sul rito e le orazioni della stessa messa romana: le incensazioni dell'altare, del Vangelo, del celebrante, dei fedeli sono di origine gallicana, così come i segni di croce durante il Canone e il maggior numero di orazioni. L'Introito entrò a far parte della Messa come canto pontificale verso il VI secolo, per la solennità conferita alla stessa dalla presenza del papa. Sempre dalla Francia, verso il IX secolo, si inserirono melodie e tropi e versetti tra i testi.
Altre significative innovazioni avvennero tra l'VIII e XI secolo: l'altare non fu posto più fra il celebrante ed il popolo, ma in fondo all'abside, così che il sacerdote compiva il sacrificio volgendo le spalle all'assemblea; il clero assisté ponendosi davanti al popolo e non più dietro l'altare; lo stesso assunse dimensioni maggiori in larghezza: le parti laterali si usarono per letture ed orazioni, al centro solo il sacrificio. Con l'uso del pane azzimo s'introdusse la grande Ostia ad uso del celebrante e piccole Ostie, raccolte nella pisside, per la comunione dei fedeli inginocchiati. Il rito dell'elevazione dell'Ostia consacrata s'introdusse solo verso il XII secolo, mentre quella del calice fu resa obbligatoria nel 1570 col Messale di Pio V.
Questo testo pubblicato il 14 luglio 1570 divenne normativo per tutte le chiese d'Occidente, uniformandone testi e riti, ad eccezione di quelle chiese che possedessero un rituale proprio da almeno 200 anni.
MESSA DEI CATECUMENI E MESSA DEI FEDELI
Come rito la messa, dal XIII secolo in poi, si soleva distinguere in due parti: "messa dei catecumeni " e "messa dei fedeli "; alla prima erano ammessi coloro che aspiravano a diventare cristiani e , poiché ancora in fase di preparazione dottrinale, erano esclusi dal sacrificio eucaristico e partecipavano solo alla liturgia della Parola, con chiara valenza catechetica; alla seconda partecipavano tutti i credenti.
L'altare posto alla sommità di una gradinata stava a significare la salita al Golgota; perciò le preghiere di introduzione al Sacrificio erano recitate dal celebrante ai piedi della gradinata: al IX secolo si fa risalire la recita del Salmo 42 Judica me, Deus ; con il Gloria e il Confiteor, la cui formula é del XII secolo, il sacerdote sale all'altare che incensa con triplice giro, se la messa é solenne; la recita del Credo, dopo la lettura del Vangelo e l'omelia, é introdotta nel VI secolo in Oriente, nell'XI nel rito latino.
La seconda parte della messa iniziava con l'Offertorio: fino all'XI secolo erano i fedeli stessi ad offrire il pane e il vino del sacrificio insieme al necessario per i sacerdoti: traccia di ciò é l'odierna elemosina; offrivano pane azzimo, cioè non fermentato; ciò non prima del IX secolo in Roma; dal XII secolo in poi prese la forma dell'ostia attuale.
L'Offertorio é una reliqua dei canti che si solevano fare durante la cerimonia della raccolta delle offerte. Seguivano preghiere, dette "piccolo Canone" che, nel rito latino, non sono più antiche del XIV secolo: "Suscipe", "Sancte Pater" , forse di origine gallicana, ed il "Deus qui humanae substantiae", antica preghiera della liturgia natalizia romana; fatta l'offerta, si procedeva ad una nuova incensazione dell'altare, seguita dal Lavabo, o lavanda delle mani, l'"Oratio super oblata secreta" e quindi il Prefazio che é l'introduzione alla preghiera eucaristica per eccellenza, cioé il "Canone" o "Canon actionis".
Il Prefazio, detto in altre liturgie "prologo", "illazione", comincia con un dialogo tra celebrante e fedeli, prosegue con una preghiera di ringraziamento e si conclude con il Trisagio o Sanctus. Ha così inizio il Canone, formula in atto dal VII secolo, con il quale avviene la consacrazione delle due specie eucaristiche e la loro duplice elevazione, attuata dal tempo dell'eresia di Berengario; tutte le successive preghiere, sempre espresse in lingua latina, culminano nella dossologia "Per ipsum, cum ipso, in ipsum".
Con il Pater inizia la parte della Comunione: dapprima la frazione dell'Ostia, l'antichissimo Agnus Dei, la preghiera ed il bacio di pace posteriori all'anno 1000, la comunione del sacerdote che secondo la teologia cattolica é parte integrante del sacrificio. Durante la comunione dei fedeli si cantava un salmo; ne resta traccia nell'attuale preghiera di Communio.
La preghiera del Postcommunio concludeva la celebrazione con , a volte, l'"Oratio supra populum"; poi l'"Ite, missa est" dava il congedo all'assemblea fino al IX secolo. Il Placeat con la benedizione sono posteriori al 1000, e l'ultimo Vangelo era di devozione privata fino al XV secolo ed era la lettura del Prologo di Giovanni.
STRUTTURA DELLA MESSA CATTOLICA
La Messa, nell'accezione semplificativa popolare, é la celebrazione domenicale comunitaria del mistero pasquale.
Nel corso dei secoli ha avuto varie denominazioni tutte su fondamento neo-testamentario: "cena del Signore", "frazione del pane", "offerta", "sacrificio", "memoriale", "messa ed eucarestia".
Essa é essenzialmente una "anàmnesis del Kyrios", memoria dell'evento in cui Cristo é passato dallo stato di debolezza e di infermità nella carne allo stato di gloria, nel quale il Padre lo ha costituito Signore della storia e del cosmo e "spirito vivificante" per ogni creatura.
La Messa é il "sacramento" per eccellenza, perché "presenza operante del Risorto che rende culto al Padre nello Spirito".
Si attualizza attraverso la convocazione dei credenti, assemblea celebrante insieme al Cristo rappresentato dal suo ministro a ciò delegato, cioè il sacerdote. Essa si articola in 5 parti ben definite
§ RITI D'INGRESSO composti dal "saluto trinitario" pronunciato dal sacerdote cui si unisce l'assemblea; dalla reciproca "comunitaria confessione" ; dall'"implorazione" della divina misericordia con il canto litanico del "Kyrie" , alternato tra celebrante e fedeli; l'inno di lode del "Gloria" , recitato dal celebrante insieme ai fedeli; la "colletta" che é la prima delle tre grandi preghiere presidenziali e sintetizza il significato delle letture seguenti -
§ LITURGIA DELLA PAROLA che rende l'assemblea "comunità d'ascolto" con la "lectio prophetica" dall'Antico Testamento, il "salmo responsoriale" scandito tra lettore e comunità, la "lectio apostolica" tratta dagli Atti degli Apostoli o dalle epistole di Paolo, il "canto allelujatico" che precede la "liturgia Verbi", tratta dal Vangelo di uno dei 4 evangelisti secondo la scansione annuale; ad essa segue l'"omelia", meditazione approfondita della proclamazione della Parola. La professione di fede col "Credo" pregato dall'assemblea insieme al sacerdote é come un grande collettivo "amen", cui fa seguito "la preghiera dei fedeli" intercessione per le necessità universali.
§ LITURGIA EUCARISTICA: con essa si entra nella fase strettamente sacramentale della celebrazione (dalla "mensa Verbi" alla "mensa sacramenti"): l'attenzione liturgica si sposta dall'ambone all'altare con l'"offertorio", cioé l'offerta del pane e del vino con la seconda preghiera presidenziale, cioé l "orazione sulle offerte"; segue la "preghiera eucaristica" che consta del "praefatio" recitato dal solo celebrante, nel quale si concentra il mistero celebrato in "quel" giorno; al termine di questo egli chiama tutta l'assemblea alla triplice lode del "Sanctus" per raccogliersi poi nella "parola-memoriale" o epiclesi consacratoria su intercessione dello Spirito Santo, conclusa nell'anafora assembleare; fa seguito la grande preghiera delle "intercessioni", unione della chiesa itinerante con quella gloriosa, ringraziamento ed intercessione insieme,più il"memento" per i vivi ed i defunti: queste due sono pregate dal solo celebrante; la "dossologia" trinitaria chiude la grande realtà mistericamente attuata.
§ RITI DI COMUNIONE: constano della preghiera comunitaria del "Padre nostro", ponte tra la consacrazione e la consumazione del banchetto; poi la "dossologia-acclamazione" dell'assemblea, l'augurio e "lo scambio di pace", la "fractio panis" con l'invocazione all'"Agnus Dei" e la convivialità, segno del banchetto nel Regno; chiude la terza orazione presidenziale, espressione di riconoscenza e supplica di efficacia del mistero celebrato
§ RITI DI CONGEDO: possono contenere avvisi del celebrante alla comunità, il saluto finale " la messa é finita, andate in pace" e la benedizione.
LA RIFORMA LITURGICA DOPO IL CONCILIO VATICANO II
Con la riforma liturgica seguita al Vaticano II, la celebrazione eucaristica, abbandonata la lingua "canonica" latina, avviene secondo le lingue nazionali per permettere una più consapevole partecipazione dell'assemblea ed il suo inserimento attivo nell'azione liturgica. Allo stesso scopo l'altare della celebrazione, fisso o mobile, é collocato all'esterno del presbiterio e rivolto verso l'assemblea dei fedeli.
Riveste il carattere di altare "maggiore" quello nel presbiterio, sul quale é eretto il tabernacolo per la conservazione e custodia delle specie eucaristiche consacrate e non consumate.
Il presbiterio é la parte della chiesa separata con balaustra, il cui accesso era interdetto a persone estranee al culto e perciò riservato solo al clero e suoi coadiutori; attualmente anche questa zona non é più interdetta, specie alle donne: vi prendono posto solitamente i coristi durante le celebrazioni solenni. Altra significativa modifica innovativa é "il modo" col quale i fedeli si annettono alla Comunione: dal primitivo inginocchiarsi alla balaustra, in vigore fino agli anni 70, si é passati all'attuale avvicinamento per processione, in piedi; l'assunzione dell'Ostia può avvenire direttamente sulla lingua, oppure per ricezione sulle mani; la comunione é contemplata sotto le due specie anche per i fedeli, per intinzione o per bevuta diretta dal calice del vino, in celebrazioni di particolare significatività per l'assemblea: per esempio durante cerimonie di consacrazione religiosa e/o secolare, al termine di un corso di esercizi spirituali, nell'amministrazione solenne di sacramenti, o per concessioni stabilite dal diritto canonico.